Metti una sera al cinema in Sudamerica… o del sorprendente lavoro dello studente sottotitolatore.
di Sara Cortese.
A cura dell’Associazione per la Promozione della Cultura Latino Americana in Italia si è aperta sabato 18 ottobre la 29ª edizione del Festival del Cinema Latino Americano di Trieste. Si tratta della più importante rassegna di cinema latino americano a livello europeo durante la quale, e nell’arco di poco più di una settimana (dal 18 al 26 di ottobre), vengono presentati 56 film, di cui 16 in lizza nella sezione principale del concorso.
Notizia ancora più bella, il festival ha avviato ormai da tempo una collaborazione con la Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori di Trieste (casa mia da quattro anni) che permette agli studenti di occuparsi della sottotitolazione dei film.
Così, quando si è presentata l’occasione di collaborare traducendo dall’inglese i sottotitoli per La distancia más larga, ho accettato con entusiasmo. Ho ricevuto un pdf con i sottotitoli in inglese e 10 giorni di tempo per la consegna. Mai esperienza semilavorativa fu più illuminante.
Per prima cosa, provate a sottotitolare qualcosa di cui non sapete assolutamente nulla senza immagini. I pronomi diventeranno il vostro peggiore incubo e improvvisamente vi ritroverete a imprecare contro la pessima abitudine dell’inglese di non distinguere i generi. Dopo avere letto cinque pagine di sottotitoli e non essere ancora riuscita a capire il numero o l’identità dei personaggi in scena ho richiesto e ottenuto di vedere il film. Menomale, perché con l’ausilio dei soli sottotitoli una mia omonima era morta nei primi cinque minuti di film senza che neppure me ne accorgessi.
In seconda battuta, ho capito che a volte il lavoro del traduttore non ha niente a che fare con il pensare e ripensare per ore a come rendere una frase. A volte si tratta di essere veloci, altre di conoscere i programmi giusti, nel peggiore dei casi di diventare campionessa di saltelli digitali CTRL+C/ CTRL+V per inserire i tempi di entrata e uscita dei sottotitoli. Se come me siete quel genere di traduttori che hanno scelto questa strada spinti oltre che dalla passione, anche dalla fobia per i numeri, la cosa crea non pochi problemi, considerato che i tempi di entrata e uscita si misurano fino ai decimi o centesimi di secondo.
La cosa assurda però è che questo folle lavoro che non ha nulla a che fare con la materia “accademica” insegnataci per anni mi è piaciuto tantissimo. È stata una settimana di scoperta continua, di viaggi dall’altra parte del mondo di fronte al pc, di innamoramenti!
Ho imparato che tra il sottotitolatore e il film si crea, attraverso il lavoro quotidiano e continuo, un rapporto intimo, immagino non dissimile da quello che lega il traduttore al libro. Vedo questo film come una mia creatura, anche se in minima parte, diciamo un cromosoma su quarantasei. Non importa quante volte sia già stato detto, ma davvero la traduzione, in quanto rielaborazione, assicura una comprensione più profonda. Traducendo i suoi sottotitoli mi sono innamorata de La distancia más larga, dei suoi paesaggi venezuelani, del suo approccio delicato al tema degli affetti, persino del protagonista maschile (ma del personaggio, non dell’attore, quindi sono scusata!).
E ho imparato inoltre che non è vero quel che si dice, che quello del traduttore sia un lavoro solitario. È stata una settimana di intensa collaborazione telematica con mille consiglieri preziosi. Grazie a tutti quelli che si sono sorbiti i miei infiniti “Tu come diresti… ?”, agli aiutanti tecnici e a quelli morali: senza di voi non ce l’avrei mai fatta.
Su questa nota chiudo e vi do appuntamento a martedì 21 ottobre per la proiezione de La distancia más larga, così vi innamorerete anche voi. Ma andate anche a vedere gli altri film, (qui la programmazione): sono il frutto anche del duro e appassionato lavoro di tanti giovani traduttori che amano quello che fanno.