Recensione di Roberta Cotroneo.
Falsi d’autore. Guida pratica per orientarsi nel mondo dei libri tradotti di Daniele Petruccioli (Quodlibet 2014) è un vademecum che si rivolge soprattutto ai “lettori incalliti e consapevoli”.
Fin dalla prima pagina l’autore vuole mettere in guardia i lettori sulle insidie che si celano dietro buona parte dei libri di autori stranieri che arrivano nelle nostre mani. Siamo sempre consapevoli che questi libri sono tradotti e che quindi, in qualche modo, non sono i libri originali?
Le traduzioni, come il vino, possono essere sottoposte a diversi procedimenti di lavorazione, partire da una quantità disparata di metodi, arrivare a risultati (ebbene sì) addirittura opposti.
Petruccioli invita il lettore a farsi delle domande e a non limitarsi a leggere passivamente il libro che si ritrova tra le mani. Il lettore dovrebbe cercare le risposte a interrogativi tipo: come mai sul libro quasi non c’è scritto che è una traduzione? Come mai è così difficile capire chi l’ha fatta?
La ricerca parte dal nome del traduttore: dov’è il nome del traduttore? Sulla copertina? Sul colophon? E se il nome del traduttore non lo trovo da nessuna parte? Ecco che allora la ricerca diventa più difficile ma non impossibile. Infatti, come scrive Petruccioli, un lettore attento e consapevole può facilmente capire se il libro che ha in mano è un “originale” o se si tratta di una traduzione. Perché però il nome del traduttore, a volte, viene omesso dagli editori? Perché gli editori a volte risultano “allergici” al nome del traduttore riconoscendo un solo creatore del libro, l’autore originale, e il traduttore che di fatto riscrive il libro per un pubblico diverso viene spesso dimenticato o il suo ruolo sminuito?
Ed ecco svelate le forze mistiche e non che si preoccupano di nascondere l’identità di traduzioni e traduttori. Le due forze mistiche sono La Torre e il Capretto. La prima fa parte della mitologia romantica ed è il luogo in cui il traduttore si rifugia per staccarsi dalla realtà terrena e dallo squallore quotidiano. Daniele Petruccioli sottolinea come sia faticoso superare l’idea della creazione di un’opera da parte di un genio assoluto e in qualche modo fuori dalla realtà. È importante acquisire la consapevolezza del fatto che gli autori di un’opera tradotta sono molteplici e il fatto che esistano tante traduzioni di un’opera non può rappresentare altro che una ricchezza. A questo punto entra in gioco la vittima da sacrificare il Capretto: quando un libro non ci piace moriamo dalla voglia di conoscere il volto di quell’autore che ci ha fatto annoiare, arrabbiare, e desideriamo “crocifiggere” una persona sola non riuscendo ad accettare il fatto che il traduttore ha avuto un ruolo fondamentale nel determinare il giudizio su quel libro.
Fintanto che vorremo mantenere l’autore unico, solo separato e indivisibile, fintanto che insisteremo a rinchiuderlo nella sua torre d’avorio (poveraccio), fintanto che terremo a tutti i costi a considerarlo un alieno, un diverso, uno straniero, un altro da inseguire, fare a pezzi, uccidere e divorare glorificandolo o denigrandolo a seconda dei casi, fintanto infine che vorremo sfogare su di lui le nostre frustrazioni e la nostra rabbia, è normale che chi ci presenta un libro sia costretto a nasconderci, anzi a negarci, la figura del traduttore.
Pertanto, se vogliamo diventare lettori consapevoli il consiglio dell’autore è quello di lasciar perdere la Torre, smettere di volere divorare a tutti i costi il povero Capretto e lasciare perdere il Denaro.
La questione entra nel vivo quando si parla del confronto autore-traduttore e quindi tra testo originale e testo tradotto:
Una traduzione è un’altra cosa rispetto all’originale, tanto quanto un disco contenente un’esecuzione degli studi di Chopin è diverso dallo spartito di quegli stessi studi.
[…] Tradurre non è sostituire le parole. Tradurre è eseguire una musica.
Qui entra in gioco l’ego del traduttore che in una traduzione deve metterci tutta la sua personalità, il suo timbro, la sua interpretazione e il compito del lettore consapevole è quello di saper riconoscere il timbro e l’interpretazione di un traduttore superando il concetto di traduzione bella o brutta unicamente sulla base degli errori grammaticali.
Quello che, a mio parere, Petruccioli vuole sottolineare è che il lettore dovrebbe andare più a fondo nella lettura di un testo tradotto e non soffermarsi sugli errori che, in alcuni casi, sono frutto di una scarsa intesa tra traduttore e revisore o del poco tempo a disposizione per effettuare una traduzione. Ciò che dovrebbe saltare all’occhio, anzi all’orecchio, di un lettore esperto e consapevole è l’interpretazione, la varietà di stile, il timbro che caratterizza la voce di un traduttore rispetto a un altro. Per quanto riguarda gli errori: salti di testo, errori di interpretazione del significato o semplicemente refusi fanno parte di un mestiere creativo che necessita della figura fondamentale del revisore.
Il grado di consapevolezza massimo che un lettore può raggiungere lo porta a fare delle scelte, a scegliere un traduttore o un altro, a farsi un gusto e un orecchio per i testi e per le voci dei traduttori.
Uno dei modi per riconoscere la voce del nostro traduttore preferito è il ricorso alla distinzione tra «traduttese» e «tradiano» (o doppiagese).
Il traduttese è una lingua pulita, troppo pulita per essere vera. Una lingua di stilemi che si ripetono costantemente a prescindere dal libro.
È la lingua di «sostenne», «dichiarò», «si recò», «si diresse». Il traduttese risponde a regole di eleganza un po’ artificiose nell’ottica di evitare le ripetizioni, tanto odiate dalla lingua italiana e dai traduttori, e i morfemi cioè i pezzettini di parole che servono a comporre i diminuitivi o i superlativi. Quindi in traduttese non si avrà mai «una bellissima casa» ma «una casa molto bella» così come non troveremo mai «occhietti azzurri» ma «piccoli occhi azzurri».
Il tradiano, invece, è la lingua che si serve del calco per non discostarsi dalla lingua di partenza. Gli esempi più comuni vengono dall’inglese e sono «fuck» tradotto con «fottutissimo», «What’s your name» che diventa «Qual è il tuo nome» mentre un italiano direbbe semplicemente «Come ti chiami».
Detto questo, qual è la scelta giusta?
La risposta di Petruccioli è che il compito di un lettore consapevole e impegnato non è quello di giudicare le scelte dei traduttori come giuste o sbagliate ma di imparare a guardare le scelte linguistiche dei traduttori in termini di maggiore o minore bellezza con l’obiettivo di formarsi un gusto personale e assolutamente soggettivo.
Il cammino da intraprendere è sicuramente lungo e tortuoso ma l’idea di diventare giorno dopo giorno una lettrice e una traduttrice consapevole non può fare altro che spingermi a perseverare.
E voi, avete letto il libro? A che livello di consapevolezza siete giunti nel vostro percorso di lettori?