Cara piccola Alice, quell’inferno è finito da 150 anni. Auguri.
Il primo approccio avuto con Alice è stato di tipo cinematografico, ho conosciuto prima l’Alice di Walt Disney e poi quella del suo padre letterario Lewis Carroll.
Una volta letto il libro, facevo fatica a riconoscere in quella bambina di cui avevo letto, la stessa di cui avevo visto. Nell’interpretazione di Walt Disney la storia narrata in Wonderland, come anche i suoi personaggi, vengono mescolati a quelli del suo seguito letterario Through the Looking-Glass and What Alice Found There; i colori sono molto vivaci, molte parti sono cantate e alcuni dei personaggi sono simpatici e solidali con Alice. Il risultato è che i toni ne risultano addolciti rispetto al testo originale in cui, invece, i personaggi sono decisamente più scorbutici con la piccola Alice che subirà attacchi verbali (e alla fine anche fisici) da parte di tutti gli abitanti di Wonderland.
Non dimentichiamoci mai che Alice si è persa e si trova in un posto in cui tutto le è sconosciuto e surreale, in cui le convenzioni temporali e spaziali sono sovvertite e, soprattutto, dico soprattutto, in cui c’è una regina tremenda che la perseguita e che vuole tagliarle la testa.
Mi sono resa conto che ciò che ha dato forma all’immaginario collettivo di Wonderland come un posto meraviglioso nel senso positivo del termine, è stata la versione cinematografica invece che quella originale.
Forse, è anche la traduzione italiana di Wonderland come “Paese delle meraviglie” che ci porta a pensare al meraviglioso; il “wonder”, però, è anche lo stupore.
Cercando su un qualunque dizionario della lingua italiana, leggiamo che i due termini, meraviglia e stupore, sono considerati sinonimi ma, esaminando la singola definizione data per ciascuno, la differenza tra i due risulta evidente. Il primo termine è definito come un sentimento di viva e perlopiù piacevole sorpresa che si ha di fronte a una cosa, o ad una situazione, fuori dell’ordinario o del previsto; il secondo invece, si riferisce a uno sbalordimento, ad uno stato di turbamento e confusione che lascia attoniti, dunque con una sfumatura più negativa.
Sono strasicura che l’ambiguità (o ambivalenza) del termine è stata voluta da Carroll, e lo dico, ovviamente, prostrandomi in un solenne inchino alla maestria dello scrittore nel creare giochi di parole e nel manipolarle a suo piacimento.
Ad ogni modo, la mia visione del paese delle meraviglie e di Alice tende più per lo stupore, soprattutto dopo la lettura del testo in inglese, la sua lingua originale. Omettendo il passaggio della traduzione e, potendone dare una interpretazione diretta e personale, ho riscontrato che Alice, effettivamente, si muove con grande difficoltà in questo posto sconosciuto e in mezzo ai suoi abitanti; e un’analisi fatta dal punto di vista semiotico e pragmatico ha consolidato ancora di più la mia idea di un’Alice in un paese meraviglioso forse perché abitato da strane creature ma non in quanto luogo di armonia e serenità.
La povera Alice è indotta nella tana del coniglio per curiosità, e sempre spinta da questa fa le sue prime esperienze ed incontri ma, quando ne avrà abbastanza di conigli in ritardo, topi piagnucoloni, gatti dispettosi, e duchesse bisbetiche, ciò che la porterà a proseguire il suo percorso sarà la volontà di mettergli fine, cercare un modo o, una strada, per uscire da Wonderland.
La bambina è spesso in rapporti antagonistici con gli abitanti del luogo che la percepiscono come un intrusa; molte delle loro convenzioni non vengono capite da Alice che tenta, invano, di interpretare questo nuovo mondo secondo i paradigmi della realtà vittoriana in cui vive, continuando però a fallire.
La piccola può contare solamente su se stessa: alle richieste di aiuto di Alice, gli animali rispondono con delle indicazioni inutili e fuorvianti e di certo non sono di conforto ma anzi, spesso si mostrano maleducati, scontrosi e aggressivi. Le certezze che la bambina aveva prima di cadere giù per la tana del coniglio sembrano non servire più a niente, ne ha solamente ricordi confusi che a volte, servono solo a peggiorare la situazione.
Da quello che Carroll ci dice di lei, capiamo che la bambina è quasi sempre spaventata, si sente persa e vorrebbe tornare a casa; i personaggi che incontra non fanno altro che attaccarla e andarle contro. Addirittura, partecipa ad un gioco che l’avrebbe vista vincitrice se tutti non avessero palesemente imbrogliato, le sue parole vengono fraintese e lei non capisce quelle degli altri, piange così tanto da fare diventare un lago un’intera stanza, non le viene fatto posto a tavola e le viene offerto quello che sul tavolo non c’è, un bruco le fuma in faccia, una regina vorrebbe tagliarle la testa, un gatto si prende gioco di lei… per chiunque sarebbe stato un vero inferno.
Io non ci avrei passato neppure un’ora in quel covo di pazzi.
Ah! Buon Non Compleanno Alice!