È il libro che avrei voluto scrivere io.
Ritratto di famiglia con bambina grassa parla di donne a cui avrei voluto somigliare, racconta storie a cui avrei voluto appartenere.
Parla del coraggio squisitamente femminile di tirare avanti una famiglia, con cura.
Senza un’infanzia, senza vizi, senza dolci, crescono. Sono bambine già grandi in una famiglia di uomini assenti o presenti soltanto per accarezzarti con la fibbia in ferro di una cintura. Ce la fanno da sole loro: le Ninin, Michin, Maria e Margherita di questa storia, sono le nonne della nostra famiglia, le antenate del nostro albero genealogico. La loro forza, la ereditiamo come la forma dei fianchi o il colore degli occhi. Scorre a fiumi rossi nel nostro sangue. Se loro non fossero state com’erano noi non saremmo qui, o saremmo un’altra cosa.
Come se bisognasse accostarsi alle cose in punta di piedi, senza lasciare troppo il segno, senza mai, per nessuna ragione, esaurire Ia fonte. Era un’ecologista estrema e ante litteram, non per politica, ma per genetica: cosa facciamo se domani non c ‘è più luce, acqua, legna, pane, sole?
«Chiudi il rubinetto. Spegni la luce. Che fai, leggi ancora, a quest ’ora? Consumi!» Con voce aspra, antica. Antica la sua voce che mi richiama a un mondo di povertà che non c’è più. Esiste ancora in chissà quante parti della terra la miseria. forse anche più famelica e primitiva di quella che si addensava attorno al camino di pietra della cucina di Catlina. La differenza è che quella miseria ormai ovunque si specchia nella nostra complicata. tormentata ricchezza. Per Ninin invece, quand ‘era piccola, la povertà era un panorama a 360 gradi. La ricchezza era così lontana che non l’avrebbe vista neanche col binocolo, se ne avesse avuto uno. In vicinanza, a portata di mano, quel continuo tiramento di stomaco che si chiama fame.
VOTO: