Si sono appena concluse le tre giornate pisane dedicate alla piccola editoria.
A partire dal discorso inaugurale e dalle parole di Romano Montroni (presidente del Centro per il Libro e la Lettura) si sono delineate le linee guida del Pisa Book Festival 2014: la lettura e la traduzione.
Montroni ha esordito rassicurando tutti sul futuro del libro cartaceo, rimarrà e rimane ben saldo visto che, a differenza dell’America, in Europa si registra una diversa presenza territoriale delle librerie che garantisce il rapporto/contatto del libro con il lettore. E a proposito di Libri senza frontiere, continua, «la frontiera è quello spazio conosciuto a chi sta dentro e sconosciuto a chi sta fuori» e da ciò si deduce la figura imprescindibile del traduttore. Nonostante il suo ruolo fondamentale, nonostante il suo lavoro di “liberazione” del testo, solo da poco, le case editrici italiane cominciano a inserire il nome del traduttore nel frontespizio dei loro libri. Il CEPELL viene in soccorso dei traduttori con una banca dati che al momento contiene 635 iscritti, direi che bisogna assolutamente fare click!
Sempre Montroni, che non smetterò più di seguire, parla di eventi culturali come stimolo al turismo e alla lettura, grande spinta alla crescita culturale, così grande che il presidente, forte dell’esperienza “Libriamoci” (progetto di lettura nelle scuole per radicare fin da subito questa sana abitudine), propone la lettura stessa come materia curricolare.
Anche l’intervento di Björn Larsson non si spinge in una direzione tanto diversa e racconta la sua esperienza di studente di lingua (ne parla cinque) desideroso di leggere in lingua originale e di viaggiare utilizzando la lingua dell’altro, di viaggiare rischiando e mettendosi in gioco, senza limitarsi a ricoprire il ruolo di spettatore. Alla domanda “Che cosa può fare la letteratura per noi?” risponde con un sorriso e con queste parole: «La letteratura non deve documentare la realtà, non la deve copiare ma immaginare per permetterci di immaginare, a nostra volta, altre possibilità di realtà e società». Leggere equivale ad immaginare altre possibilità della vita, un’altra serie di combinazione che si può realizzare; quando qualcuno dice: “Chi avrebbe potuto immaginare qualcosa di simile?” significa che quel qualcuno manca di immaginazione, o in altre parole, ha letto pochi libri.
Se leggiamo, possiamo immaginare un domani che non sarà come oggi. Certo, aggiunge sarcasticamente, i libri come Cinquanta sfumature di grigio, quelli no, non c’entrano niente, quelli possiamo (o dobbiamo?) pure non leggerli.
Sempre in tema di “senza frontiere” è stata l’intervista fatta dallo scozzese (ed esilarante) Joseph Farrell alla madrina del festival Dacia Maraini, scrittrice «intellettualmente nomade».
Sotto lo sguardo e le orecchie attente del pubblico, prende forma il racconto della vita della scrittrice, con squarci sui terribili momenti passati al campo di concentramento in Giappone, i ricordi suggestivi del padre Fosco con il suo zaino pieno di «foto e odori da mondi lontani», la presenza della madre, la parte «prevedibile e un po’ noiosa della vita» ma anche la più sicura, ancora i viaggi, la povertà e la ricchezza di libri, e Palermo e Roma. E sempre per tornare in tema di “leggere fa bene”, alla domanda “Perché si scrive?”, Dacia Maraini dice fissandoci negli occhi uno ad uno: «Per passione. Passione per la lettura però. Sono stata prima di tutto lettrice. Bisogna dentro la scrittura. Bisogna avere nell’orecchio le voci degli scrittori». «Leggere un libro significa riscriverlo con la propria immaginazione»; sviluppare una propria immaginazione equivale ad alimentare la nostra anima: «La lettura ci permette di avere un’etica, ad esempio, possiamo immaginare il dolore degli altri».
Un vita “altra” è quella di William Sidis, una vita perfetta come dice il titolo del libro di Morten Brask. Molto piacevole la presentazione e molto affascinante sentire parlare l’autore in danese con la traduzione consecutiva del grande traduttore di lingue nordiche Bruno Berni, presente anche agli incontri poetici con Morten Søndergaard, Paolo Febbraro e Franco Buffoni in cui ogni poeta ha letto poesie proprie e dei grandi maestri che ciascuno di loro si è scelto per la vita.
Bruno Berni, nel raccontare le difficoltà che si incontrano nella traduzione di un testo poetico, ammette che gli è capitato spesso di dover tradurre su commissione e controvoglia un testo di cui non era entusiasta ma, aggiunge, «Con la poesia non posso. La poesia devo sceglierla io; il traduttore di poesia deve sentirla per poterla tradurre». E la poesia di Søndergaard è una di quelle che ti penetra nell’anima e ti ronza in testa per giorni.
Connubio perfetto delle due tematiche (lettura e traduzione) i recital poetici in lingua e in traduzione ed entrambi contemporaneamente, sono stati la conclusione speciale del mio festival. Uno spettacolo per il cuore.
Dobbiamo brancolare ancora per entrare nella tintinnante euforia della poesia.