Boire en voulant éviter l’ivresse est aussi déshonorant que d’écouter de la musique sacrée en se protégeant contre le sentiment du sublime.
Pétronille, 2014.
Il mini tour italiano continua, e dopo Roma, Grosseto e Pisa, Amélie Nothomb sbarca al Circolo dei Lettori di Torino, dove Gramma-Teca ha seguito l’evento per voi.
L’attesa è stata lunga, ma appena abbiamo sentito risuonare nella sala il pianoforte di Elena Turrito sulle note di Comptine d’un autre été, siamo state subito ripagate. Ecco Amélie, che entrando prende rapidamente in mano la situazione: quale modo migliore di conversare se non versando a tutte un flûte di champagne?
Diversamente da quanto annunciato, l’intervista è stata condotta da Farian Sabahi, giornalista, insieme all’editrice italiana della Nothomb, Daniela Di Sora (Voland), che ci ha subito esposto il suo rapporto con la scrittrice. Un rapporto che comincia a metà degli anni ’90, quando Amélie era ancora sconosciuta, ma con il suo primo romanzo Hygiène de l’assassin riuscì ad attrarre l’attenzione dell’editrice, al punto da farle acquistare i diritti dei primi quattro romanzi. Ad oggi, sono ben 24 i libri pubblicati. Ad ogni rentrée littéraire la Nothomb è puntuale: ogni anno sceglie sempre un romanzo da pubblicare, anche se la sua attività è ben più prolifica.
Amélie ci ha svelato infatti, con ironia, che la notte è il momento che preferisce per scrivere (precisamente dalle 4 alle 8), e che si definisce una «écrivaine préhistorique»: scrive infatti su quaderni che poi conserva a Bruxelles in scatole da scarpe. Ogni anno scrive almeno tre o quattro libri per poi, in inverno, scegliere in modo istintivo quale pubblicare, o meglio, «quali lasciare nell’oscurità e quale portare alla luce».
La sua ultima opera, Pétronille, è una storia di amicizia, una «histoire de champagne» per l’appunto: la protagonista, una famosa scrittrice alla ricerca di qualcuno con cui condividere il suo champagne a Parigi, trova in Stéphanie Hochet, anche lei scrittrice ma non ancora affermata, una giovane compagna di bevute. Il loro legame è rafforzato dal fatto di avere “disobbedito” ai loro ambienti originari: Pétronille proviene da una famiglia proletaria e comunista, mentre Stéphanie da una famiglia nobile e attenta ai canoni della sua società. Attraverso la scrittura (e lo champagne!) riescono a sfuggire ad un destino prefissato che le avrebbe viste seguire le orme dei genitori.
In questo suo ultimo romanzo Amélie affronta il tema della solitudine, che l’ha accompagnata lungo tutta la sua adolescenza, in particolare dai 10 ai 20 anni, quando per lei era così «terrible la confrontation à soi-même», e il tema della scrittura. Non è stato semplice, dice, ma da quando è diventata una scrittrice non si sente più sola. È difficile continuare a scrivere ogni giorno, «è come calpestare il territorio dell’indicibile, e più lo si fa, più è difficile». Ha sempre il timore di non riuscirci, ogni giorno pensa di non farcela, finché alle 8 del mattino non vede realizzate le sue pagine.
La scrittura è stata per lei una “tentazione” fin da bambina, una tentazione che ha sempre vissuto come un handicap, poiché viveva in una famiglia letteraria per cui gli scrittori venivano considerati come dèi. Per questo ha sempre pensato di non essere degna di diventarlo.
Quando a 17 anni lesse Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke, in cui l’atto della scrittura veniva definito come un atto “rivoluzionario”, un atto molto umile, Amélie finalmente si convinse che anche lei aveva diritto di scrivere. Ecco che un libro le cambia la vita. Così, a 23 anni, dopo una durissima esperienza in un’azienda giapponese, in cui da traduttrice fu declassata a pulire i servizi igienici (esperienza che descriverà in seguito nel suo romanzo Stupeur et tremblements), lascia il Giappone per tornare in Europa e tentare di pubblicare il suo primo romanzo (Hygiène de l’assassin), che darà inizio alla sua carriera con l’editore francese Albin Michel.
Il rapporto con i classici della letteratura è sempre stato fondamentale per lei, fin dall’adolescenza: dai francesi Dumas, Stendhal, Balzac, Marguerite Yourcenar al giapponese Yukio Mishima, tanto da ritrovarne spesso citazioni nelle sue opere. I temi dei suoi romanzi improntano sempre al rapporto tra gli esseri umani, ci dice, all’amicizia, all’amore, a volte al potere (come in Les Catilinaires): a sua detta, ogni libro svela un lato spiacevole, ma anche un lato divertente.
Alla domanda se la scrittura sia per lei una vocazione o una disciplina, risponde semplicemente con una citazione di Jacques Brel:
Che cos’è il talento? Il talento è solo la voglia di fare qualcosa. Tutto il resto è sudore, traspirazione, disciplina.
Per lei dunque il ruolo dello scrittore sta nell’essere tiranno verso se stesso e nel darsi un’estrema disciplina. Sempre finché lo champagne glielo permetta!
Alla fine del piacevole incontro ci è stato proposto di emulare lo stile di Amélie Nothomb, ma alla maniera piemontese: con cioccolatini e moscato.