Cosimo salì fino alla forcella d’ un grosso ramo dove poteva stare comodo, e si sedette lì, a gambe penzoloni, a braccia incrociate con le mani sotto le ascelle, la testa insaccata nelle spalle […]. Nostro padre si sporse dal davanzale. – Quando sarai stanco di stare lì cambierai idea! – gli gridò.
– Non cambierò mai idea.
– Ti farò vedere io appena scendi!
– E io non scenderò mai più! – E mantenne la parola.”
Non crediate che qui si stia scherzando, Cosimo davvero non scenderà mai più.
Il piccolo barone col suo spadino e il cappotto conciato con pelli di animali uccisi con le sue mani, decide che vivrà una vita intera sugli alberi saltando da un carrubo a un gelso di more, da una quercia a un fico. Dalla corteccia frastagliata, le foglie ricche e morbide, gli alberi con la loro forza imperturbabile, diventeranno la sua casa e la sua vita. Per il barone rampante, una vita piena di avventure e tutt’altro che solitaria: il suo amore costante e devoto per la Sinforosa, le letture al condannato a morte, l’incontro con il popolo di Olivabassa e la solidarietà degli Ombrosotti, perché vivere insieme, ma insieme davvero, fa uscire il meglio delle persone e fa dimenticare l’egoismo. Tutto questo, non senza il distacco simbolico e fisico che comporta vivere a una certa distanza dettata da un tronco e da una scelta presa forse per capriccio ma che diventerà l’unica che conta.
La scrittura è per Italo Calvino una vocazione, raccontare con elegante semplicità, cose di vita ordinaria ma di una bellezza straordinaria.
Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non si era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pure essendosi saputa sempre, mai si era potuta riconoscere così.