L’inizio è facile da individuare. Eravamo al sole, vicino a un cerro che ci proteggeva in parte da forti raffiche di vento. Io stavo inginocchiato sull’erba con un cavatappi in mano, e Clarissa mi porgeva la bottiglia – un Dumas Gassac del 1987. L’istante fu quello, quella la bandierina sulla mappa del tempo.
Ian McEwan non è uno dei miei scrittori preferiti e ho letto L’amore fatale molto tempo fa. Ho il ricordo di una lettura faticosa, claudicante e lenta, ma a distanza di anni, complice il delirio di un trasloco, mi ritrovo questo libro di nuovo sotto il naso.
Risfogliandolo, ho trovato moltissime sottolineature che, contrariamente al mio ricordo, sono per me un vero e proprio indice di gradimento e di citazione in citazione, mi sono sorpresa a rileggerlo.
Come si legge dall’incipit del romanzo, «L’inizio è facile da individuare» e quell’inizio è l’esatto momento in cui la vita di Joe Rose cambia, travolta dall’ossessione di Jed Perry.
La trama de L’amore fatale è piuttosto semplice, la follia di Jed invece è intricata e attorcigliata come i rami di un albero d’ulivo.
Descritta con lucida fermezza, l’ossessione di Jed ci pervade e inquieta mentre sfalda tutto ciò che sappiamo sull’amore. Un’ossessione che rivela l’ipocrisia di una vita velata di menzogne inconsapevoli, che palesa l’illusione e la forzatura delle affinità emotive.
Come scrive lo stesso McEwan: «l’innamoramento è sempre un’esperienza estrema».
Afferrato dal barattolo un altro colore a matita, ho preso a sottolineare tutto quello che a vent’anni, immune al disincanto, non avevo saputo vedere.
Ora ci ritrovammo in uno spazio di due metri cubi, seduti l’uno a fianco dell’altra in un certo senso, e in un certo senso, e la questione della nostra divergenza appariva inaffrontabile. Le lanciai un’occhiata e la vidi triste e bellissima. Chissà se la tristezza era invece soltanto la mia.