di Sara Cortese.
Al grido di #unlibroèunlibro l’AIE, Associazione Italiana Editori, ha lanciato il mese scorso una campagna per estendere il regime fiscale agevolato previsto per i libri cartacei anche ai libri in formato digitale. Molti paesi UE, infatti, prevedono per i libri, in virtù del loro valore formativo e culturale, una tassazione più bassa. Questo principio vale però solo per i libri in formato cartaceo; al contrario un ebook è tassato come un qualsiasi altro prodotto elettronico, quindi con la massima aliquota applicabile. In Italia questo significa un’IVA del 22% se compro 1984 in EPUB contro un’aliquota del 4% sullo stesso testo in formato cartaceo. Assurdo, no? Un regime fiscale di questo tipo equivale nei fatti ad affermare che il formato di un testo è in grado di pregiudicarne il valore, tesi che neanche i nostalgici del fruscio delle pagine consumate si spingerebbero a sostenere.
L’assurdità di questa discrepanza di trattamento è tale che l’IVA al 4% per gli ebook è a quanto mi risulta la prima proposta del governo Renzi a aver incontrato il consenso di tutti i partiti. Almeno nei propositi, perché la road map pare un tantino più complessa. Innanzitutto l’entità dell’aliquota è affare, prima che italiano, europeo. È la legislazione UE infatti a stabilire che un ebook è equiparabile a un prodotto elettronico e non a un libro, e di conseguenza deve vedersi applicata l’aliquota massima. Piegare la legislazione europea con una legge nazionale che preveda anche per i testi digitali un’aliquota ridotta significherebbe far scattare la procedura di infrazione dell’Unione, come è già successo a Francia e Lussemburgo, con conseguente rischio di sanzioni che andrebbero a ricadere sulle già moribonde finanze pubbliche italiane. La politica ha però deciso di ignorare il pericolo in nome della sacrosantità della causa e quindi l’IVA al 4% per gli ebook è stata inserita in un emendamento alla legge di stabilità che deve essere approvata a fine anno. Nel frattempo i ministri della cultura degli stati membri hanno raggiunto un’intesa e sottoscritto un testo in cui dichiarano la volontà comune di equiparare i regimi fiscali dell’editoria cartacea e digitale. Si rimane per ora nel campo delle buone intenzioni, poiché il regime fiscale può essere modificato solo dall’Ecofin, che non si riunirà prima del 9 dicembre, mentre anche in Italia si attende il varo della legge di stabilità prima di poter giudicare l’operato della politica.
Ma in concreto, possibile che la campagna sia mossa solo da ideali e non vi si celino dietro motivazioni più economico-mondane? Approfondendo l’argomento, si scopre infatti che l’abbassamento dell’Iva non si traduce necessariamente in un abbassamento del prezzo di copertina dell’ebook. Molte start-up dell’editoria digitale hanno dichiarato apertamente in rete di non avere intenzione di abbassare il prezzo di copertina, giacché i loro testi sono venduti a non più di due euro. Ma soprattutto né l’AIE, né alcuno dei grandi editori da questa rappresentati, si sono impegnati ufficialmente a una riduzione del prezzo finale. La sensazione è che l’IVA al 4% alla fine non andrebbe a vantaggio dei lettori, che pure rappresentano la categoria che più è stata coinvolta nella campagna AIE, ma delle case editrici, che mantenendo intatto il prezzo finale ricaverebbero quello che fino ad ora finisce nelle casse statali.
Quindi in conclusione, la campagna è da sostenere o no? La mia personalissima opinione è che in ogni buona azione si cela sempre l’interesse di qualcuno, ma se l’obiettivo finale è buono, non c’è ragione di non sostenere una causa solo perché la sua origine non è esclusivamente ideale e altruistica. In altre parole difendiamo la bontà della campagna, perché anche questa tra digitale e cartaceo è una forma di discriminazione che come tutte le altre va combattuta, per ricordare agli pseudointellettuali che gridano alla morte della letteratura per mano del kindle che il monologo di Enjolras sulle barricate di Parigi non ha un’eco minore se è scritto in pixel e non in inchiostro, ma che se Hugo o Tolstoj pesano tre chili in meno la nostra generazione di migranti universitari non può che trarne vantaggio.
Insomma: NO alla discriminazione, anche in editoria! Fatevi tutti una bella foto col pollice verso, caricatela su twitter e spargete la voce! E poi sperate nell’UE e nella buona fede dei promotori di uno slogan che, forse anche per la sua tautologia, risulta quanto mai azzeccato.