Di Ylenia Désirèe Zindato.
Scrivere, per dirla con Pavese, è la cosa più antinaturale, fastidiosa e faticosa attività umana. Perché lo facciamo? Perché costringiamo noi stessi a ricordare, seduti su una sedia, di fronte a un ingombrante spazio bianco, che può dire tutto, oppure non poter dire niente. Perché ci costringiamo allo stancante lavorio del correggere, tagliare, aggiungere, sostituire e sostituire, sostituire ancora, finché, eccole li. Il momento in cui «tra una parola e un’altra, puoi sentire il respiro e il pensiero» (cit. Stefano Benni).
Eccolo lì, tutto nero su bianco. Ogni parola sta nel punto esatto, dove deve stare. Ogni cosa è detta per come deve essere detta. Ma tutto questo richiede tempo, e stanchezza e sfiducia.
Non credete a chi vi dice che viene di getto, in un sussulto: stanno mentendo. Raccontare è sudare, ma alla fine, a quei pochi, arriva…
Se per te non è così, fermati! Posa quella penna, alzati da quella sedia. Esci, divertiti, lavora.
Fai quello che vuoi, ma fermati. Non aggiungere spazzatura alla spazzatura, banalità alla banalità, parole a parole. Ti prego non farlo.
Il mondo non ha bisogno di scrittori, ma poi, quando arrivano, non puoi fare a meno di pensare: finalmente.
E tu, editore, cerca la bellezza non i soldi.
Cercate l’autentico non il vendibile.