«Ti piace il lavoro di maestro, insomma…no?»
«Perché, c’è qualcosa che ti fa pensare il contrario…? Spiegami, no no… Che cilavoro, spiegami che cosa…»
«ti piace fare il maestro…»
«Mi piace, ma dici che lo posso fare o devo cambiare lavoro?»
«C’hai tre mesi di ferie…»
«Quanti? Tre mesi di ferie? No no, meno di tre, meno, di meno… E tu pensi che sia un lavoro che conviene perché ho tre mesi di ferie, due… Si beh, io non è che proprio mi sia convenuto però è un lavoro che mi piaceva fare e lo faccio»
(La classe e il maestro ridono)
Il metafilm del 2013 di Daniele Gaglianone La mia classe, in cui il making of della pellicola diviene parte integrante della vicenda stessa, in una coraggiosa sovrapposizione tra finzione e realtà, dà finalmente voce a due categorie intimamente connesse e mai portate prima sul grande schermo nel nostro paese, quella degli studenti immigrati e quella dei docenti di italiano L2.
Nel microcosmo dell’aula, spesso disturbato dall’irruzione della troupe, insegnante e studenti sono al contempo attori e registi, che simultaneamente dirigono ed interpretano portando avanti l’azione, negoziando significati e concorrendo alla creazione di nuovi contenuti proprio come dovrebbe accadere durante una lezione.
Ognuno porta in classe il proprio pesante bagaglio di esperienza, la propria visione dell’Italia e il ricordo del proprio paese mentre il maestro Valerio Mastrandrea, unico attore professionista coinvolto nel film, sembra andare oltre il proprio ruolo e le proprie battute prefissate lasciando spazio al fattore spontaneità, in un toccante equilibrio tra coinvolgimento emotivo e controllo.
Non volendo dare spoilers a chi non avesse ancora avuto l’occasione di vedere La mia classe, mi limito ad affermare con assoluta certezza che la visione della pellicola offrirà una risposta profondamente umana a chiunque stia vivendo un’esperienza come docente di italiano in contesto migratorio e si stia interrogando sul senso del proprio operato. Senza sfociare nella trappola della retorica e dell’autoreferenzialità che troppo spesso caratterizza i film a sfondo sociale il metafilm di Gaglianone (di)mostra quanto l’apprendimento della lingua italiana e la comunicazione, anche quando approssimativa, confusa o comicamente sgrammaticata, siano la base e il punto di partenza per l’integrazione. Dunque la classe non più mia ma di tutti, aperta al dialogo e allo scambio ma anche, realisticamente, a quelle sconfitte che purtroppo non mancano mai in una realtà ancora così problematica.